appello

Appello a tutti...

Quest'anno il Lampedusa in Festival è arrivato alla sua terza edizione. Con molto entusiasmo stiamo portando avanti questa iniziativa che riteniamo sia importante per Lampedusa, i lampedusani e tutti coloro che amano l'isola. Purtroppo, anche quest'anno, dobbiamo fare i conti con le nostre tante idee e i nostri pochi fondi per realizzarle.

Chiediamo a tutti coloro che credono nel Lampedusa in Festival e nel lavoro che Askavusa sta facendo -rispetto all'immigrazione e al territorio di Lampedusa- di dare un contributo, anche minimo, per permettere al Festival di svolgere quella funzione di confronto e arricchimento culturale che ha avuto nelle passate edizioni.

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martedì 18 agosto 2009

Libia: massacro a Benghazi, 20 somali uccisi dalla polizia

da FORTRESSEUROPE.BLOGSPOT.COM
BENGHAZI, 16 agosto 2009 – Bagno di sangue a Benghazi. Almeno 20 rifugiati somali sarebbero stati uccisi dalla polizia libica durante un fallito tentativo di evasione dal centro di detenzione di Ganfuda, dove erano detenuti perché sprovvisti di documenti. Cinque di loro sarebbero morti sotto gli spari della polizia al momento della fuga. Gli altri 15 sarebbero invece morti a seguito delle violenze inferte loro dagli agenti di polizia, armati di manganelli e coltelli. La repressione è stata durissima, i feriti sarebbero almeno una cinquantina, in maggior parte somali. I fatti risalgono alla prima settimana di agosto. La notizia è stata diffusa il 10 agosto dal sito internet della diaspora somala Shabelle Media Network che ha parlato telefonicamente con un testimone oculare della strage. La notizia è stata ripresa anche dalla stampa libica (Libia Watanona) e internazionale (Voice of America). Ed è confermata da una terza fonte, con cui Fortress Europe è direttamente in contatto a Benghazi, ma della quale non possiamo svelare l'identità per motivi di sicurezza. Sebbene al momento non si conosca ancora l'esatta ricostruzione dei fatti e non si sappia con certezza il numero delle vittime, si tratta comunque della più grave strage avvenuta nei campi di detenzione libici. Una notizia credibile anche alla luce di massacri ben più atroci, come quello che venne commesso a Tripoli, nel carcere di Abu Salim, nel giugno del 1996 e che costò la vita a centinaia di detenuti libici (vedi lo speciale di HRW). Ovviamente le autorità libiche hanno prontamente smentito la notizia. L'ambasciatore libico di stanza a Mogadiscio, Ciise Rabiic Canshuur ha definito la notizia una “menzogna” e ai giornalisti ha chiesto: “prima di parlare o scrivere dovrebbero confrontarsi con noi”.

Questa notizia è gravissima. Questa è la Libia verso cui l'Italia rispedisce fieramente centinaia di emigranti e rifugiati. Gli ultimi 80 somali sono stati respinti lo scorso 12 agosto. Dall'inizio di maggio i respinti sono almeno 1.216. O almeno quelli di cui si ha notizia. Perché di altri non si sa niente. Come del gruppo di 80 eritrei imbarcatisi il 29 luglio e mai arrivati, eppure ufficialmente mai respinti. Dall'estero i familiari chiedono notizie di loro. Speriamo soltanto che non sia accaduta una tragedia in mare.

Rinnoviamo l'invito ai parlamentari italiani e europei affinché si faccia chiarezza su quanto accaduto.
E invitiamo i nostri lettori a esprimere il proprio sdegno all'ambasciata libica in Italia
Ecco i contatti:

Ambasciatore Hafed Gaddur
Ufficio Popolare della Gran Jamahiria Araba Libica Popolare Socialista
Via Nomentana, 365 - 00162 - Roma
Tel. 06-86320951
Fax 06-86205473
Email: info-ambasciata@amb-libia.it

sabato 1 agosto 2009

Lettera degli eritrei a Tripoli. Torturati in Libia come in Eritrea


Da: fortresseurope.blogspot.com

"Per gli eritrei, senza riguardo se in Eritrea o in Libia

In un’epoca di civilizzazione, il mondo tende sempre più verso due opposti estremi: alcuni governi adottano dittature sempre più reazionarie, e altri invece democrazie estremamente liberali. Quale è la tendenza in Eritrea e in Libia? Noi eritrei in Libia, abbiamo fatto esperienza della situazione di entrambi i paesi. E non vediamo nessuna differenza, qui come là c’è solo violenza e tortura. L’unica differenza è che l’Eritrea sta torturando i propri cittadini, mentre la Libia lo fa con gli stranieri. Ma le torture sono simili in tutto e per tutto, ed è vergognoso doverne parlare nel XXI° secolo.

Oggi i rapporti di molte organizzazioni non governative ci dicono che l’Eritrea è una “piccola grande prigione”. Lo dice il rapporto di Human Rights Watch, ma ci sono molte altre cose che non vengono dette. Persone innocenti sono detenute indefinitamente senza capi d’accusa e senza nessun processo. Molti di loro sono danneggiati a vita dalla detenzione, sia danni fisici che mentali. Sono trattati alla stregua di quanto accade a Guantanamo.

Oggi tutta l’Eritrea è una prigione. Chiunque non voglia rimanere nel servizio di leva a vita, è detenuto indefinitamente. I centri di detenzione crescono dappertutto, come funghi, in ogni città eritrea. Anche i posti più lontani stanno diventando terreni per la costruzione di prigioni. Ogni divisione dell’esercito è autonoma e ha le sue proprie prigioni, dove i membri dell’esercito sono detenuti in condizioni inumane per periodi indeterminati. Nessuno è autorizzato a protestare su niente. Altrimenti sarà considerato un ribelle. Pertanto chiunque non sia soddisfatto del sistema deve scappare e salvare se stesso dall’incarcerazione.

Le principali prigioni adesso sono:
1. Track B: è un centro di detenzione militare, si trova pochi chilometri a ovest di Asmara, ed è usato per imprigionare i membri dell’esercito che ritornano dalle famiglie senza autorizzazione o che rimangono a casa oltre il tempo concesso per la licenza. I detenuti sono chiamati “Zikoblelu” che significa illegali.
2. Adi-Abeyto: si trova circa 3 chilometri a nord ovest di Asmara. Viene usato soprattutto per detenere le persone fermate con documenti non validi. Una sezione è anche utilizzata per detenere i familiari dei disertori dell’esercito fuggiti all’estero illegalmente.
3. Wia e Gel’alo: a sud est di Massawa, si trovano nella depressione di Danakil, una delle zone più calde del paese, dove le temperature superano facilmente i 45°, con un altezza sotto il livello del mare e sempre molto caldo. Vengono usati per la detenzione dei cittadini accusati di ribellione. Queste prigioni sono state usate anche come centri di arresti di massa nel 1999 per circa 10.000 membri dell’esercito e nel 2001 per tutti gli studenti universitari accusati di ribellione.
4. Ebatkala: questa è una prigione di massima sicurezza molto controllata, sulla strada per Massawa, usata per detenere ex alti funzionari di governo accusati di tradimento. E’ dove sarebbero detenuti ministri e giornalisti arrestati nel 2001 e mai processati.
5. Prigioni delle Sotto Zone: Si trovano in ogni città delle Sotto-Zone e sono usate soprattutto per la detenzione dei familiari dei disertori.
6. Ala: situata a est di Asmara, sulla strada tra Dekemhare e Massawa. Usata per la detenzione dei disertori e delle persone accusate di lavorare come contrabbandieri per far scappare oltrefrontiera i disertori.
7. Mai-Edaga: a sud di Dekemhare, sulla strada per Tsorona, ha le stesse funzioni del carcere di Ala.
8. Sawa (Shadishay Birgad): questo è il principale centro di addestramento militare, e a volte è usato per la detenzione di membri permanenti dell’esercito di Sawa e delle zone limitrofe
9. Nakura e Dahlak Islands: queste isole sono state usate come carceri durante il periodo coloniale italiano e inglese per detenere i ribelli. Ora sono usate per il trattenimento dei disertori rimpatriati dagli altri paesi. Negli ultimi anni molti Paesi, non consapevoli della situazione dell’Eritrea, hanno deportato molti eritrei, buoni candidati per queste galere.

Queste sono le principali prigioni in Eritrea e il lettore dovrebbe annotare che ce ne sono molte altre, più piccole e sconosciute, oltre a luoghi segreti di detenzione in aree remote del paese. Chiunque provi a evadere viene fucilato. Il modo in cui sono trattati dentro è terribile. Molti di loro rimangono sterili a causa dei calci, e molti altri perdono la vista per gli anni passati nelle buie celle sotterranee. Secondo testimoni oculari, la morte in questi luoghi è normale e nessuno se ne preoccupa, se non le madri di questi innocenti. Più scopri queste storie e più dolore senti.

Torniamo alla Libia. Gli eritrei fuggono da queste torture cercando qualche forma di sollievo altrove nel mondo. Ma la difficoltà della situazione sembra emigrare con loro. La Libia non ha differenze dall’Eritrea rispetto alle carceri. Ovunque ci sono prigioni, tutte con torture simili, ma grazie a Dio in Libia nessuno viene fucilato. I principali centri di detenzione in Libia dove gli eritrei vengono imprigionati sono:

1. Ganfuda (Bengasi): si trova nella città di Bengasi e vi sono portate persone catturate lungo la strada per Tripoli
2. Kufrah: è la prima città libica dopo il confine sudanese. Qui vengono portati i disertori presi al confine col Sudan mentre tentano di entrare in Libia
3. Misratah: ufficialmente è chiamanto “campo” e le persone sono formalmente sotto la tutela dell’Unhcr, ma non raggiunge nessun livello di un campo profughi. Circa 700 eritrei vi sono detenuti da oltre due anni e senza nessuna speranza.
4. Fellah: è una prigione a Tripoli, nel quartiere di Abu-Salim dove molti immigrati di diverse nazionalità sono portati per soggiorno illegale in Libia.
5. Tuaisha-Binkeshir: a Tripoli
6. Gurgi: a Tripoli
7. Zliten: a circa 150 km a est di Tripoli, usata soprattutto per detenere i migranti catturati durante l’imbarco per la traversata del terribile mare per raggiungere l’Europa.
8. Zawiyah e Surman: a circa 70 km a ovest di Tripoli.
9. Zuwarah: nella città di Zuwarah, vicino al confine con la Tunisia, usata per detenere i migranti catturati durante l’imbarco o intercettati in mare.

In fin dei conti, la sofferenza è la stessa, cambia solo il posto. Tutte le informazioni sono basate su testimonianze oculari. Stiamo tentando di esplorare le similarità e le differenze tra i tipi di violenza in Eritrea e Libia. Tutte le vittime di queste violenze stanno cercando come soluzione, di ottenere una protezione internazionale sotto la quale poter vivere in sicurezza. Nessuno sa esattamente quando, ma tutti qui aspettano il giorno in cui tutte queste sofferenze avranno fine e tornerà la libertà!!!"

Anonimo