appello

Appello a tutti...

Quest'anno il Lampedusa in Festival è arrivato alla sua terza edizione. Con molto entusiasmo stiamo portando avanti questa iniziativa che riteniamo sia importante per Lampedusa, i lampedusani e tutti coloro che amano l'isola. Purtroppo, anche quest'anno, dobbiamo fare i conti con le nostre tante idee e i nostri pochi fondi per realizzarle.

Chiediamo a tutti coloro che credono nel Lampedusa in Festival e nel lavoro che Askavusa sta facendo -rispetto all'immigrazione e al territorio di Lampedusa- di dare un contributo, anche minimo, per permettere al Festival di svolgere quella funzione di confronto e arricchimento culturale che ha avuto nelle passate edizioni.

Per donazioni:
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domenica 19 luglio 2009

Lavori forzati e torture per gli eritrei deportati dalla Libia


ROMA, 18 luglio 2009 – L'Eritrea sta investendo molto nel turismo. Lungo il mar Rosso ad esempio, a metà strada tra Massawa e Assab, c'è un albergo a Gel'alo che nessun turista dovrebbe perdersi, specialmente se italiano. Se non altro perché è stato costruito da esuli eritrei costretti ai lavori forzati dopo essere stati arrestati sulla rotta per Lampedusa e rimpatriati dalla Libia su voli finanziati dall'Italia. Proprio così. Non chiedete spiegazioni all'ambasciata eritrea, potrebbero fraintendere. Secondo la propaganda della dittatura infatti, quell'hotel è frutto del coraggio della gioventù eritrea, e in particolare delle forze armate, dal 2002 impegnate in un programma di sviluppo del paese, denominato Warsay Yeka'alo. Noi invece le spiegazioni siamo andate a chiederle agli unici tre che da quell'inferno sono riusciti a scappare e che oggi vivono in Europa. Hanno accettato di parlarci, ma sotto anonimato e a patto di non svelare la città dove oggi vivono sotto protezione internazionale.

I fatti risalgono al maggio del 2004. Un vecchio peschereccio diretto a Lampedusa con 172 passeggeri, in maggior parte eritrei, invertì la rotta dopo essere finito alla deriva e si arenò davanti alla costa libica. Nel panico generale si dettero tutti alla fuga, ma la maggior parte furono arrestati. Dopo un mese nel carcere di Misratah, vennero trasferiti in una prigione di Tripoli. D. aveva ancora le piaghe delle ferite aperte. Insieme a due amici erano stati picchiati e torturati per tre giorni in cella di isolamento per un fallito tentativo di evasione. Un giorno di buon mattino si presentò un'unità speciale dell'esercito. “Caricarono un gruppo di eritrei su un camion, nessuno di noi immaginava cosa sarebbe accaduto, pensavamo si trattasse dell'ennesimo trasferimento”. E invece no. Erano diretti all'aeroporto militare di Tripoli. Dove ad attenderli c'era un aereo della Air Libya Tibesti. Era il 21 luglio del 2004. Nel giro di 48 ore, sotto l'occhio discreto dell'ambasciatore eritreo a Tripoli, partirono altri tre aerei, che rimpatriarono un totale di 109 esuli.

Ad attenderli all'aeroporto di Asmara c'era l'esercito. Dopo un rapido appello furono caricati su dei camion militari e portati a Gel'alo, sul mar Rosso. Non era un carcere, ma un campo di lavori forzati. Fuori città, in una zona arida e isolata. La struttura era circondata da un fitto bosco di arbusti spinosi, che rendevano impossibile ogni tentativo di fuga. Mantenuti sotto strettissima sorveglianza, ogni giorno marciavano scortati dai militari armati per lavorare al cantiere del nuovo albergo di Gel'alo, simbolo del progresso dell'economia del Paese. I prigionieri erano circa 500. C'erano i cento deportati dalla Libia e i duecento deportati da Malta due anni prima, nel 2002. Gli altri erano disertori dell'esercito arrestati lungo la frontiera mentre tentavano di fuggire clandestinamente dall'Eritrea verso il Sudan. La giornata tipo iniziava con l'appello, alle cinque del mattino e poi dalle sei al lavoro nei cantieri, sorvegliati e bastonati dai militari, scalzi e denutriti, in una delle zone più calde del deserto eritreo, dove le temperature sovente superano i 45°. Per pranzo e per cena il menù era pane e acqua. Rimasero in quelle condizioni per dieci mesi, fino al 30 maggio del 2005. Dopodiché furono trasferiti nel campo di addestramento militare di Wi'yah per essere reintegrati nell'esercito, per il servizio di leva a vita. Tutto questo senza essere autorizzati a ricevere visite o telefonate dei propri familiari, tenuti all'oscuro del loro destino.

La loro storia è confermata da un quarto testimone. Si tratta di uno dei 232 esuli eritrei rimpatriati da Malta nel settembre del 2002 e intervistato dalla documentarista eritrea Elsa Chyrum nell'agosto del 2005. Testimone oculare della morte per stenti di alcuni dei prigionieri per la durezza delle condizioni di lavoro, la denutrizione e la mancanza di cure. “Tutti sanno – dice - che Alazar Gebrenegus, del gruppo dei deportati da Malta, morì per la mancanza di cure, implorando un'arancia”. E se la fame, la sete e il caldo non erano abbastanza, continua il rifugiato, “i prigionieri erano continuamente picchiati”.

Anche questa notizia trova conferma in una terza fonte. Nel rapporto “Service for Life”, pubblicato lo scorso 20 aprile da Human Rights Watch, c'è un intero capitolo dedicato alle torture. Elicottero, otto, ferro, Gesù Cristo, gomma. I nomi in italiano delle tecniche di tortura lasciano supporre che siano eredità delle nostre forze coloniali. Il rapporto conferma che un gruppo di 109 eritrei venne rimpatriato nel 2004 dalla Libia e si sofferma anche sul destino dei rimpatriati da Malta nel 2002. Vennero rinchiusi nel carcere di massima sicurezza sull'isola di Dahlak Kebir, in celle sotterranee, in condizioni di estremo sovraffollamento, e tenuti alla fame.

Quasi tutti i 3.000 eritrei sbarcati nel 2008 in Italia hanno ottenuto un permesso di soggiorno di protezione internazionale. Eppure l'Italia fa di tutto per bloccarli prima. E non è soltanto la storia dei 76 eritrei respinti in Libia lo scorso primo luglio. Né dei 700 che da tre anni sono nel carcere di Misratah, in Libia. È una storia che inizia proprio con E., D. e M. Già, perché i quattro voli che deportarono il gruppo di 109 rifugiati furono commissionati e pagati dall'Italia, all'interno degli accordi di cooperazione contro l'immigrazione firmati nel 2003 con Gheddafi. Lo dice un documento riservato della Commissione Europea. C'era anche un quinto volo, ma non arrivò mai a destinazione. Perché fu dirottato. Proprio così. Era il 27 agosto del 2004. Gli 84 passeggeri presero il controllo dell'aereo e atterrarono a Khartoum, dove vennero riconosciuti come rifugiati politici dalle Nazioni Unite. Peccato, avrebbero potuto contribuire anche loro al Warsay Yeka'alo Program

venerdì 10 luglio 2009

lampedusa in festival

Storie, incontri, vissuti, flussi migratori, cultura che appartengono al bacino Mediterraneo Un concorso per filmaker, un linguaggio nuovo capace di parlare ai giovani, aperto a tutti italiani, e stranieri su temi attuali e importanti, su temi che hanno fatto conoscere a tutta l’Italia, il comune di Lampedusa, come una comunità capace di dare speranza.
In questo particolare momento storico, la questione della coesistenza tra popolazioni e tradizioni culturali differenti che si sono sviluppate in regioni lontane del pianeta e si ritrovano identiche e diverse all'interno di molteplici e complessi contesti territoriali, emerge in modo sempre più marcato. I problemi che riguardano gli “stranieri” spesso sono affrontati seguendo ragionamenti, e immagini che rappresentano il rapporto tra migrante (ma non solo: l'escluso, il diverso) e non-migrante (lo stanziale che apparentemente sembra "subire" l'arrivo di un "altro"), esclusivamente attraverso confronti generici, colmi di pregiudizio. Di fronte a forme di conflitto di natura sempre più culturale e religiosa, è necessario individuare strategie e dinamiche di composizione delle differenze. Confronti non tra culture tesi all'appiattimento o alla pacificazione tra esperienze diverse, sociali, culturali, religiose, politiche, ma azioni, iniziative, fatti concreti che promuovano scambio e conoscenza reciproca – una certa ricomposizione dei rapporti.

La Settima Arte, il cinema o arte cinematografica può aiutare a trovare linguaggi nuovi in grado di raccontare questi cambiamenti /questi incontri. Il cinema può essere strumento valido per costruire una cultura in grado di parlare a tutti, attraverso storie e immagini. Il cinema come osservatorio sulla realtà del cambiamento, capace di promuovere riflessioni non solo sui disagi, le tensioni, i conflitti ma anche le speranze, le aperture e la ricchezza che fanno da sfondo all’immigrazione, al confronto fra culture diverse.

giovedì 9 luglio 2009

C'erano 74 rifugiati eritrei tra gli 89 respinti il primo luglio - L'appello della comunità eritrea di Tripoli

Tripoli, 3 luglio 2009
Gentilissimi,
Alla cortese attenzione di tutti coloro che sono a conoscenza delle violazioni del diritto d’asilo delle attuali politiche italiane dell’immigrazione:
A causa dell’attuale accordo tra Libia e Italia, che permette all’Italia di respingere gli immigrati in Libia, da dove sono partiti, sono stati respinte alcune centinaia di immigrati e rifugiati. Le autorità libiche li accolgono in condizioni inumane. Sono sottoposti a continui maltrattamenti fino a quando verrà presa qualche decisione sul loro destino, probabilmente la deportazione nella loro patria.
Alcuni di loro hanno urgente bisogno di una protezione internazionale, in qualsiasi luogo dove la loro richiesta possa essere seriamente esaminata dall’Acnur (Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite). In qualsiasi posto eccetto la Libia e, dopo il sei maggio, l’Italia.
Siamo riusciti a raccogliere informazioni sui detenuti respinti in Libia lo scorso 1 luglio 2009.
Abbiamo trovato 74 eritrei tra loro, tra cui 9 donne. Tutte le donne sono detenute a Zawiyah, e gli uomini a Zuwarah. Ci hanno detto di essere stati presi quando erano a circa 45 km (30 miglia) dalla costa italiana. Quando hanno saputo che li stavano riportando in Libia, dove sarebbero stati arrestati per altre torture, hanno vivamente protestato a bordo. Ma le proteste gli hanno solo procurato molti abusi fisici da parte delle forze navali italiane. Al punto che due di loro sono seriamente feriti, e altri sei hanno ferite minori. Sono tutti eritrei e hanno bisogno di una protezione internazionale. È un obbligo di tutti gli Stati firmatari della Convenzione di Ginevra del 1951. Sono stati respinti in Libia, ma dal momento che la Libia non ha firmato questo protocollo internazionale, e non ha una procedura nazionale sull’asilo, questi richiedenti non avranno mai una opportunità di chiedere asilo in Libia, altrimenti sarebbero a rischio di essere deportati nella loro patria, dove la loro vita è a rischio.
Stiamo seguendo gli sviluppi nei limiti delle nostre possibilità, nascondendo i nostri nomi e i nostri indirizzi dal momento che le autorità non accetterebbero le nostre richieste e questo potrebbe procurarci alcuni rischi per la nostra vita... siamo in un luogo dove non c’è libertà di parola né di protesta. Così ci auguriamo che le vostre rispettate organizzazioni guardino al tema dei richiedenti asilo nel modo più serio e urgente possibile. Gli eritrei hanno urgente bisogno di una protezione internazionale, dal momento in cui la loro emigrazione non è semplicemente economica, ma c’è qualcos’altro dietro, lo sappiamo.
Pertanto, includiamo qui la lista dei nomi degli Eritrei che sono stati respinti
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Cordiali saluti, un anonimo eritreo, Tripoli

Black list: dove la libertà religiosa non è ammessa

Il Governo degli Stati Uniti puntuale come ogni anno ha pubblicato la lista nera dei paesi che violano la libertà religiosa. Quest’anno sono 13 gli stati listati a lutto, ma altrettanti sono quelli che non soddisfano le garanzie richieste. La U.S Commission on International Religious Freedom, creata dalla legge sulla libertà religiosa internazionale del 1998, ha bocciato senza appello: il Myanmar, la Corea del Nord, l’Eritrea, l’Iran, l’Iraq, il Pakistan, la Cina, l’Arabia Saudita, il Sudan, il Turkmenistan, l’Uzbekistan, il Vietnam e la Nigeria. Proprio quest’ultimo è stato etichettato dalla commissione come "Paese particolarmente preoccupante" per la violenta espansione della “Legge islamica”, e si aggiunge agli altri 12 dove la libertà di religione viene violata regolarmente e in maniera sempre più grave. Sulla Birmania ha pesato la soppressione nel sangue delle dimostrazioni pacifiche dei monaci buddisti, per la Cina rimane scottante il problema del Tibet, in Arabia numerosi musulmani sciiti rimangono dietro le sbarre a causa del loro credo e le altre minoranze non sono tutelate. Il paese si trincera dietro il fatto di essere la terra sacra dell’islam e si paragona al Vaticano. Ma la commissione ha fatto notare che c’è un enorme differenza tra il piccolo stato cattolico con 800-900 residenti e lo stato saudita con 2-3 milioni di residenti non musulmani.
Buone notizie per il Bangladesh rimosso quest’anno dalla black list. Il Paese musulmano, con una storia di violenze contro le minoranze, specialmente induiste, ha visto le angherie diminuire durante le elezioni di dicembre. Il diritto di professare liberamente il proprio credo religioso è sempre più a rischio anche in Russia e in Turchia. Questi paesi insieme ad altri nove sono borderline, rischiano cioè di entrare nella lista nera, ma per il momento sono dei “sorvegliati speciali”. In Russia, la commissione ha trovato particolarmente criticabile "un nuovo corpo nel ministero della Giustizia con poteri senza precedenti per controllare e monitorare i gruppi religiosi". Il rapporto descrive anche "un incremento delle violazioni della libertà di religione da parte di responsabili governativi, in particolare contro gruppi religiosi "non tradizionali e musulmani". Il problema della Turchia è la sua interpretazione del secolarismo che si traduce "in numerose violazioni delle libertà di religione nei confronti delle minoranze religiose".
Il rapporto critica la sentenza costituzionale contro il velo islamico per le donne nelle università. Oltre a Russia e Turchia, la commissione ha aggiunto alla lista, Laos, Somalia, Tajikistan e Venezuela. Già da tempo figuravano invece l’Afghanistan, la Bielorussia, Cuba ed Egitto, perchè i loro governi o fanno discriminazioni religiose o non sono in grado di contenere le violenze religiose.
Il rapporto copre il periodo che va da Maggio 2008 ad aprile 2009.