appello
Appello a tutti...
Quest'anno il Lampedusa in Festival è arrivato alla sua terza edizione. Con molto entusiasmo stiamo portando avanti questa iniziativa che riteniamo sia importante per Lampedusa, i lampedusani e tutti coloro che amano l'isola. Purtroppo, anche quest'anno, dobbiamo fare i conti con le nostre tante idee e i nostri pochi fondi per realizzarle.
Chiediamo a tutti coloro che credono nel Lampedusa in Festival e nel lavoro che Askavusa sta facendo -rispetto all'immigrazione e al territorio di Lampedusa- di dare un contributo, anche minimo, per permettere al Festival di svolgere quella funzione di confronto e arricchimento culturale che ha avuto nelle passate edizioni.
Per donazioni:
Ass. Culturale Askavusa
Banca Sant'Angelo
IBAN: IT 06N0577282960000000006970
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sabato 25 giugno 2011
Lampedusa, e i suoi 22km2 si macinano velocemente su due ruote. Quello che si vede, sfrecciando, e' un isola placida e calma, che entra in punta di piedi nella sua stagione estiva, fatta di turisti, spiagge e cale...proprio come vorrebbe la tradizione. Una cartolina di normalità, con sfondo imbarcazione, tipo bateaux mouche, brulicante di passeggeri...peccato che la compagnia non e' la Siremar e il volto che si vede sporgere dal ponte superiore non e' quello di un caucasico turista, ma di un africano sorridente.
Questa e' la routine per chi non fa vita da piaggia come noi. Il cellulare in borsa squilla, “O scia', dicono che sta arrivando una barca giu al porto...parlano di 800 sub-sahariani, tutti provenienti dalla Libia”. “Ok, andiamo. Passa qua che scendiamo assieme”. Abbandoni la sede di Askavusa, senza spostare niente, senza spegnere i portatili, lasciando solo un veloce messaggi sulla skype chat del festival agli amici, che di fronte ai loro computer sul continente, lavorano “sbarco di 800. Ci sentiamo piu tardi”.
Lo sai gia che le comunicazioni si interromperanno per almeno due o tre ore, perche per uno sbarco di questo tipo, ci vuole molte tempo. Pedalando verso lo sbarcatoio pensi a quello che ti puo aspettare: l'ingresso negato al porto, i sorrisi di complicità con gli operatori amici delle ONG che aspettano e quelli un po' meno complici con i poliziotti, ma soprattutto la Porta d'Europa.
Dalla costa si vede il barcone ondeggiare lentamente, circondato dalle imbarcazioni della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera. Lo vedi procede lentamente attraverso le lenti dello zoom della camera. L'audio e' chiaro e nitido. I suoni trasportati dal vento portano pianti di bambini, voci di donne e lo scricchiolio dei legni. La barca si avvicina e ti avvicini pure tu -di soppiatto- non facendoti notare dalle forze dell'ordine, che impegnate nella fase di attracco, non seguono più i tuoi movimenti sulla collina a ridosso del molo.
Uno scatto, poi un altro, poi uno ancora. Alzi lo sguardo e i volti che poco prima vedevi attraverso l'obbiettivo sono li' di fronte a te. La Plimsoll line, linea che marca il riempimento di una imbarcazione, non si vede nemmeno sulla chiglia. Il ponte inferiore sparisce a livello del molo. Sbucano solo le teste delle persone che lo occupano. L'imbarcazione e' in pericoloso equilibrio. I passeggeri vorrebbero scendere tutti assieme, all'unisono, mentre gli agenti corrono su e giu per la banchina gridando “sit down, sit down”. Calmi si siedono, aspettando il loro turno per scendere.
Donne, bambini, intere famiglie che poco a poco riempiono l'area di fronte alla stazione marittima. Stanchi, ma contenti di essere arrivati a destinazione, si guardano attorno con facce inquisitorie. Nigeria, Eritrea, Liberia, ma anche Pakistan e Bangladesh siedono su 5m2 di cemento del porto. Bevono e si rilassano, prima di essere trasportati al centro. Scende la sera e gli occhi fanno quasi male, costantemente tenuti sotto sforzo nel catturano volti attraverso l'apparato digitale. Prendiamo note, scambiamo quattro parole con gli informatori fedeli e infiltrati...ma ormai siamo troppo visibili e la polizia ci allontana mentre ancora prendiamo appunti, e cerchiamo di stabilire contatti con la moltitudine identificata come sub-sahariani.
Ci sarebbero milioni di cose da dire, come le storie dei famigliari che scendono dall'Europa per rivedere e recuperare i loro figli, fratelli e mariti, ma non c'e' abbastanza tempo per raccontarvi tutto. Quello di oggi e' la storia dell'ultimo grosso sbarco a Lampedusa, una routine di cui siamo testimoni e che abbiamo deciso di raccontarvi per rendervi parte del nostro vissuto.
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