appello

Appello a tutti...

Quest'anno il Lampedusa in Festival è arrivato alla sua terza edizione. Con molto entusiasmo stiamo portando avanti questa iniziativa che riteniamo sia importante per Lampedusa, i lampedusani e tutti coloro che amano l'isola. Purtroppo, anche quest'anno, dobbiamo fare i conti con le nostre tante idee e i nostri pochi fondi per realizzarle.

Chiediamo a tutti coloro che credono nel Lampedusa in Festival e nel lavoro che Askavusa sta facendo -rispetto all'immigrazione e al territorio di Lampedusa- di dare un contributo, anche minimo, per permettere al Festival di svolgere quella funzione di confronto e arricchimento culturale che ha avuto nelle passate edizioni.

Per donazioni:
Ass. Culturale Askavusa
Banca Sant'Angelo
IBAN: IT 06N0577282960000000006970

visita il sito

www.lampedusainfestival.com

contattaci

askavusa@gmail.com






venerdì 9 luglio 2010

Il silenzio è dei complici



Dal 5 maggio al 22 novembre 2009 il numero documentato degli emigranti e dei rifugiati respinti dall'Italia verso la Libia è di 1.409 persone. Sono stati intercettati in mare prima di potere raggiungere Lampedusa o la Sicilia. L’Europa.
1.409: meno di una goccia nel mare dei numeri dell’immigrazione irregolare in Italia.

Non sappiamo quante di queste persone avrebbero inoltrato domanda di asilo se ne avessero avuto la possibilità.
Non sappiamo quante di esse avrebbero potuto ricevere una qualsiasi forma di protezione internazionale che avrebbe loro permesso di cominciare davvero a sperare in un futuro.
Non sappiamo, quindi, se fossero davvero tutti “migranti irregolari” quelli che il governo italiano ha rimandato i Libia.
Non sappiamo che fine abbiano fatto la maggior parte di loro.

Ma ci sono una serie di cose che sappiamo, che tutti possiamo sapere (http://fortresseurope.blogspot.com/2006/01/libia-elenco-dei-respingimenti.html) e che non possiamo fare finta di non sapere
Sappiamo che tra quelle 1.409 persone c’erano dei minori.
Sappiamo che tra loro c’erano anche molte donne, alcune delle quali incinte.
Sappiamo che la gran parte di queste persone fuggono da persecuzioni e guerre.
Sappiamo cosa succede nelle carceri libiche.
Sappiamo che le donne subiscono abusi e violenze che segneranno per sempre le loro vite.
Sappiamo che gli uomini subiscono umiliazioni e torture.
Sappiamo che la Libia non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra e che, pertanto, non garantisce il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo.
Sappiamo che se rispediti nei loro paesi di origine, Eritrei, Etiopi, e Somali verranno sbattuti in galera, senza processo, senza possibilità di difendersi e senza sapere per quanto tempo vi resteranno.
Sappiamo che se vengono rivelati i nomi delle persone che fuggono, le loro famiglie corrono seri pericoli di rappresaglie.
Sappiamo che nei giorni scorsi oltre 200 eritrei sono stati caricati su dei containers e dopo un viaggio di oltre 10 ore, sono stati rinchiusi nel carcere di Brak, nel sud della Libia, dove sono tuttora segregati. Picchiati, torturati, senza cibo, acqua, assistenza medica.
Sappiamo che per la prima volta l’opinione pubblica – informata sui fatti – ha cominciato a fare pressione sul governo italiano perché intervenga in aiuto di queste persone.
Sappiamo che il ministro degli interni Maroni e il ministro degli esteri Frattini continuano a ripetere che non ci sono le prove che quegli eritrei siano gli stessi che l’Italia ha respinto nel corso degli ultimi mesi.
Sappiamo anche che non ci sono le prove del contrario.
Ma sappiamo che non è questo il problema. Che il vero dramma è che quelle persone sono lì, in questo momento. E che la scelta del nostro governo di scendere a patti con la Libia ci rende tutti responsabili del destino di migliaia di persone innocenti.

E per non essere complici di questa tragedia l’unica cosa che ci resta da fare è informarci, parlare, urlare, protestare, scrivere e non girare la testa dall’altra parte. Così come non vorremmo che gli altri facessero di fronte alle ingiustizie che dovessimo subire noi.

Perché il silenzio è dei complici.

(Arci ASKAVUSA)

Nessun commento:

Posta un commento