appello

Appello a tutti...

Quest'anno il Lampedusa in Festival è arrivato alla sua terza edizione. Con molto entusiasmo stiamo portando avanti questa iniziativa che riteniamo sia importante per Lampedusa, i lampedusani e tutti coloro che amano l'isola. Purtroppo, anche quest'anno, dobbiamo fare i conti con le nostre tante idee e i nostri pochi fondi per realizzarle.

Chiediamo a tutti coloro che credono nel Lampedusa in Festival e nel lavoro che Askavusa sta facendo -rispetto all'immigrazione e al territorio di Lampedusa- di dare un contributo, anche minimo, per permettere al Festival di svolgere quella funzione di confronto e arricchimento culturale che ha avuto nelle passate edizioni.

Per donazioni:
Ass. Culturale Askavusa
Banca Sant'Angelo
IBAN: IT 06N0577282960000000006970

visita il sito

www.lampedusainfestival.com

contattaci

askavusa@gmail.com






giovedì 12 maggio 2011

L'apertura di un corridoio umanitario è l'unica soluzione

L'apertura di un corridoio umanitario è l'unica soluzione

Come europei, italiani e lampedusani, non possiamo restare a guardare in silenzio le tragedie del mare che si ripetono con drammatica ciclicità. Abbandonare i rifugiati e i profughi africani al loro destino significa lasciare loro come unica via d'uscita quella di rischiare la vita su carrette del mare.
 
Lanciamo un appello urgente per l’immediata evacuazione dei rifugiati provenienti dall’Africa Sub-Sahariana e in particolare dal Corno d’Africa che si trovano intrappolati in Libia e minacciati da tutte le parti in conflitto, così come per quelli che hanno già raggiunto il confine Libico-Tunisino e che non hanno possibilità di ottenere un'effettiva protezione in Tunisia.

L’Europa non dovrebbe continuare ad essere silente perché il silenzio può diventare complicità. Essa dovrebbe invece promuovere uno sforzo congiunto tra i Paesi membri dell’Unione per organizzare l'evacuazione e il trasferimento verso i propri territori, ciò che permetterebbe anche di superare la costante (e provocata) emergenza sull'isola di Lampedusa, strutturalmente non in grado di gestire in modo soddisfacente le necessità di migliaia di profughi.

lunedì 9 maggio 2011

Peppino

9 maggio 1978 Peppino Impastato veniva barbaramente ucciso dalla mafia.

Nasce a Cinisi il 5 gennaio 1948 da Felicia Bartolotta e Luigi Impastato. La famiglia Impastato è bene inserita negli ambienti mafiosi locali: si noti che una sorella di Luigi ha sposato il capomafia Cesare Manzella, considerato uno dei boss che individuarono nei traffici di droga il nuovo terreno di accumulazione di denaro. Frequenta il Liceo Classico di Partinico ed appartiene a quegli anni il suo avvicinamento alla politica, particolarmente al PSIUP, formazione politica nata dopo l'ingresso del PSI nei governi di centro-sinistra. Assieme ad altri giovani fonda un giornale, "L'Idea socialista" che, dopo alcuni numeri, sarà sequestrato: di particolare interesse un servizio di Peppino sulla "Marcia della protesta e della pace" organizzata da Danilo Dolci nel marzo del 1967: il rapporto con Danilo, sia pure episodico, lascia un notevole segno nella formazione politica di Peppino. In una breve nota biografica Peppino scrive:

"Arrivai alla politica nel lontano novembre del '65, su basi puramente emozionali: a partire cioè da una mia esigenza di reagire ad una condizione familiare ormai divenuta insostenibile. Mio padre, capo del piccolo clan e membro di un clan più vasto, con connotati ideologici tipici di una civiltà tardo-contadina e preindustriale, aveva concentrato tutti i suoi sforzi, sin dalla mia nascita, nel tentativo di impormi le sue scelte e il suo codice comportamentale. E' riuscito soltanto a tagliarmi ogni canale di comunicazione affettiva e compromettere definitivamente ogni possibilità di espansione lineare della mia soggettività. Approdai al PSIUP con la rabbia e la disperazione di chi, al tempo stesso, vuole rompere tutto e cerca protezione. Creammo un forte nucleo giovanile, fondammo un giornale e un movimento d'opinione, finimmo in tribunale e su tutti i giornali. Lasciai il PSIUP due anni dopo, quando d'autorità fu sciolta la Federazione Giovanile. Erano i tempi della rivoluzione culturale e del "Che". Il '68 mi prese quasi alla sprovvista. Partecipai disordinatamente alle lotte studentesche e alle prime occupazioni. Poi l'adesione, ancora na volta su un piano più emozionale che politico, alle tesi di uno dei tanti gruppi marxisti-leninisti, la Lega. Le lotte di Punta Raisi e lo straordinario movimento di massa che si è riusciti a costruirvi attorno. E' stato anche un periodo, delle dispute sul partito e sulla concezione e costruzione del partito: un momento di straordinario e affascinante processo di approfondimento teorico. Alla fine di quell'anno l'adesione ad uno dei due tronconi, quello maggioritario, del PCD'I ml.- il bisogno di un minimo di struttura organizzativa alle spalle (bisogno di protezione ), è stato molto forte. Passavo, con continuità ininterrotta da fasi di cupa disperazione a momenti di autentica esaltazione e capacità creativa: la costruzione di un vastissimo movimento d'opinione a livello giovanile, il proliferare delle sedi di partito nella zona, le prime esperienze di lotta di quartiere, stavano lì a dimostrarlo. Ma io mi allontanavo sempre più dalla realtà, diventava sempre più difficile stabilire un rapporto lineare col mondo esterno, mi racchiudevo sempre più in me stesso. Mi caratterizzava sempre più una grande paura di tutto e di tutti e al tempo stesso una voglia quasi incontrollabile di aprirmi e costruire. Da un mese all'altro, da una settimana all'altra, diventava sempre più difficile riconoscermi. Per giorni e giorni non parlavo con nessuno, poi ritornavo a gioire, a riproporre: vivevo in uno stato di incontrollabile schizofrenia. E mi beccai i primi ammonimenti e la prima sospensione dal partito. Fui anche trasferito in un. altro posto a svolgere attività, ma non riuscii a resistere per più di una settimana: mi fu anche proposto di trasferirmi a Palermo, al Cantiere Navale: un pò di vicinanza con la Classe mi avrebbe giovato. Avevano ragione, ma rifiutai.

Mi trascinai in seguito, per qualche mese, in preda all'alcool, sino alla primavera del '72 ( assassinio di Feltrinelli e campagna per le elezioni politiche anticipate ). Aderii, con l'entusiasmo che mi ha sempre caratterizzato, alla proposta del gruppo del "Manifesto": sentivo il bisogno di garanzie istituzionali: mi beccai soltanto la cocente delusione della sconfitta elettorale. Furono mesi di delusione e disimpegno: mi trovavo, di fatto, fuori dalla politica. Autunno '72. Inizia la sua attività il Circolo Ottobre a Palermo, vi aderisco e do il mio contributo.Mi avvicino a "Lotta Continua" e al suo processo di revisione critica delle precedenti posizioni spontaneistiche, particolarmente in rapporto ai consigli: una problematico che mi aveva particolarmente affascinato nelle tesi del "Manifesto" Conosco Mauro Rostagno : è un episodio centrale nella mia vita degli ultimi anni. Aderisco a "Lotta Continua" nell'estate del '73, partecipo a quasi tutte le riunioni di scuola-quadri dell'organizzazione, stringo sempre più o rapporti con Rostagno: rappresenta per me un compagno che mi dà garanzie e sicurezza: comincio ad aprirmi alle sue posizioni libertarie, mi avvicino alla problematica renudista. Si riparte con l'iniziativa politica a Cinisi, si apre una sede e si dà luogo a quella meravigliosa, anche se molto parziale, esperienza di organizzazione degli edili. L'inverno è freddo, la mia disperazione è tiepida. Parto militare: è quel periodo, peraltro molto breve, il termometro del mio stato emozionale: vivo 110 giorni di continuo stato di angoscia e in preda alla più incredibile mania di persecuzione"

Nel 1975 organizza il Circolo "Musica e Cultura", un'associazione che promuove attività culturali e musicali e che diventa il principale punto di riferimento por i giovani di Cinisi. All'interno del Circolo trovano particolare spazio ìl "Collettivo Femminista" e il "Collettivo Antinucleare" Il tentativo di superare la crisi complessiva dei gruppi che si ispiravano alle idee della sinistra "rivoluzionaria" , verificatasi intorno al 1977 porta Giuseppe Impastato e il suo gruppo alla realizzazione di Radio Aut, un'emittente autofinanziata che indirizza i suoi sforzi e la sua scelta nel campo della controinformazione e soprattutto in quello della satira nei confronti della mafia e degli esponenti della politica locale. Nel 1978 partecipa con una lista che ha il simbolo di Democrazia Proletaria, alle elezioni comunali a Cinisi. Viene assassinato il 9 maggio 1978, qualche giorno prima delle elezioni e qualche giorno dopo l'esposizione di una documentata mostra fotografica sulla devastazione del territorio operata da speculatori e gruppi mafiosi: il suo corpo è dilaniato da una carica di tritolo posta sui binari della linea ferrata Palermo-Trapani. Le indagini sono, in un primo tempo orientate sull'ipotesi di un attentato terroristico consumato dallo stesso Impastato, o, in subordine, di un suicidio "eclatante".
Nel gennaio 1988 il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 il Tribunale di Palermo decide l’archiviazione del “caso Impastato”, ribadendo la matrice mafiosa del delitto ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli e ipotizzando la possibile responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei “corleonesi”. Nel maggio del 1994 il Centro Impastato presenta un’istanza per la riapertura dell’inchiesta, accompagnata da una petizione popolare, chiedendo che venga interrogato sul delitto Impastato il nuovo collaboratore della giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi. Nel marzo del 1996 la madre, il fratello e il Centro Impastato presentano un esposto in cui chiedono di indagare su episodi non chiariti, riguardanti in particolare il comportamento dei carabinieri subito dopo il delitto. Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Salvatore Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell’omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, l’inchiesta viene formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto. Il 10 marzo 1999 si svolge l’udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata. I familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l’Ordine dei giornalisti chiedono di costituirsi parte civile e la loro richiesta viene accolta. Il 23 novembre 1999 Gaetano Badalamenti rinuncia alla udienza preliminare e chiede il giudizio immediato. Nell’udienza del 26 gennaio 2000 la difesa di Vito Palazzolo chiede che si proceda con il rito abbreviato, mentre il processo contro Gaetano Badalamenti si svolgerà con il rito normale e in video-conferenza. Il 4 maggio, nel procedimento contro Palazzolo, e il 21 settembre, nel processo contro Badalamenti, vengono respinte le richieste di costituzione di parte civile del Centro Impastato, di Rifondazione comunista e dell’Ordine dei giornalisti.
Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 Dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini.
Il 5 marzo 2001 la Corte d'assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L'11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all'ergastolo. Badalamenti e Palazzolo sono successivamente deceduti.
Il 7 dicembre 2004 è morta Felicia Bartolotta, madre di Peppino.

domenica 8 maggio 2011

Lampedusa 08/05/2011


Lampedusa 08/05/2011
foto:KDV


Attorno l'una e mezza di ieri notte ci siamo recati al porto vecchio perchè ci era stata data segnalazione di un nuovo sbarco, appena arrivati , un barcone con circa settecento persone a bordo attraccava in banchina stracolmo e abbattuto da un lato. Questa volta la polizia ci fa entrare senza problemi, portiamo con noi coperte, vestiti e te caldo, in banchina ci sono anche:tutte le associazioni umanitarie, le forze dell'ordine, "Lampedusa accoglienza" e Don Stefano con altri della parrocchia. Il barcone aveva delle difficoltà ad attraccare, oltre ai migranti a bordo erano presenti alcuni operatori dell'ordine di Malta che afferravano le cime tirategli dalla banchina per poter approdare. Incominciano a scendere i primi sub-sahariani camminando tra il cordone formato dalla guardia di finanza verso la stazione marittima,molte donne e bambini, ci sono anche persone del Bangladesh e Pakistan, corriamo per distribuire te caldo, calzette e coperte. Tutto questo facendo avanti e indietro dal furgone posteggiato fuori dal porto, non avendo la possibilità di entrare con il mezzo per ordine della polizia.
Dopo avere fatto cinque volte dall'associazione al porto con il furgone per caricare tutto quello che necessitava, all'ultimo ritorno al porto notiamo che non c'è più polizia, ed entriamo direttamente col furgone. Mentre continuiamo con le operazioni di primo soccorso, un operatore di una NGO, avverte Annalisa, che in quel momento stava accudendo un bambino, che un secondo barcone si è arenato tra gli scogli, proprio vicino alla scultura di Paladino “Porta d'Europa” , circa cinquecento persone finiscono in mare, molti bambini, molte donne. Tutti si mobilitano per i salvataggi compresi i pescatori lampedusani, alla fine si salvano tutti. Alle sette di mattina presso la stazione marittima dove erano stati portati alcuni dei migranti salvati, un gruppo di sub-sahariani comincia a pregare in modo liberatorio , Annalisa e Gianluca sono tra di loro, sono le sette di mattina e tutto sembra come in un sogno, ora è un giorno nuovo e questi uomini ringraziano Dio per non essere morti, pregano Gesù Cristo, in un modo a noi sconosciuto, con una forza incredibile , abbiamo visto esseri umani appesi alla vita con un filo sottilissimo e Lampedusa nuovamente è stato un porto di salvezza.
Venite a Lampedusa la vostra magica Italia.

sabato 7 maggio 2011

Sedici duemilatre


L’aria di mare riannodava in una tiepida matassa il calore ruvido dei sassi nel viale.

Doveva essere estate, pensò, anche se il sole non era certamente come quello di casa, ammise quasi sorridendo.

Laggiù, quando la luce cedeva il passo al buio, per un istante il giorno e la notte parevano contendersi la vita ed ogni cosa aveva una luce così densa da coprire d’oro i tetti di lamiera lungo la via di polvere rossa che portava al villaggio.

Lo aveva sempre saputo che sarebbe stato proprio lui a partire, esattamente come sua madre sapeva, in qualche angolo scuro dei pensieri, che sarebbe stato proprio lui a non ritornare mai più.

Si sorprese ancora una volta. Di sera, il fragore delle onde si faceva rabbioso come un cane alla catena ma lui ormai aveva lasciato per sempre la paura giù al porto, in una scarpa di tela blu sul fondo del barcone.

Nonostante gli sforzi, non riusciva a ricordare se, almeno per un momento, fosse riuscito a vederla.

Forse si era solamente aggrappato all’orizzonte dei suoi occhi, ultima frontiera tra il mare e tutto quell’orrore.

A pensarci bene, no, non l’aveva mai vista, l’Italia. Ora, però, un lembo di quella terra lo abbracciava per sempre mentre si faceva leggero, senza più rabbia e paura, sotto una croce di legno sottile.

Luisa Rescaldina

venerdì 6 maggio 2011

La gestione di uno sbarco

Un po' con lo stesso spirito -e carico di pacchi- di sempre, anche ieri sera siamo andati al porto. Una chiamata, accompagnata dalla sua bella lista di generi vari, ci ha fatto scattare. Per cui con entusiasmo abbiamo raccolto gli scatoloni contenenti maglioni, calze, coperte e scarpe, e abbiamo guidato verso il molo commerciale.
Gia' all'altezza del bivio per Cavallo Bianco si vedeva il blocco della polizia. Rallentiamo e ci fermiamo per spiegare al poliziotto di guardia che trasportiamo abiti puliti per i migranti...ci sorride e ci invita a passare. Parcheggiamo, scendiamo e conversando con alcuni operatori delle NGOs, cominciamo a scaricare i pacchi. Cogliamo, quasi di sfuggita, i commenti di due poliziotti in abiti civili, su di noi e della nostra "collaborazione" con i membri delle NGOs presenti in quel momento al porto. Non gli diamo molto peso, raccogliamo la nostra lista e in pochi minuti risaliamo sul furgone per andare a prendere il secondo carico.
Un quarto d'ora piu' tardi siamo gia' sulla via del ritorno. Solita trafila: rallentiamo, abbassiamo il finestrino, sorridiamo -falsamente- e ripetiamo la stessa cantilena, ma con una differenza. Questa volta il poliziotto non sorride. Ci nega l'accesso...riformuliamo la frase, ma il contenuto e' lo stesso. Vestiti puliti, mutande, calze...la risposta e' ancora no. Non possiamo entrare, no signore..."perche'?" "perche' no!"...decidiamo di chiamare al cellulare uno degli operatori, passargli la roba e basta. Lo scambio del pacco avviene sulla line di confine disegnata invisibilmente dalle due macchine delle forze dell'ordine parcheggiate, una opposta all'altra, come i pali di una porta di calcio. I poliziotti non sembrano molto impressionati da questa mossa dal sapore"cortina di ferro" e vogliono ispezionare il pacco. Lo posiamo al suolo, e scartiamo, rompiamo e mostriamo il contenuto: mutande, calze, poi ancora mutande e calze...insomma biancheria, ma di quella bella bianca, pulita, nuova, cosi nuova che il cotone gratta quasi sulla pelle perche' e' impregnato di collanti e amido. Gli uomini in arma lo guardano: non ha proprio niente di male, se non che devono chiedere a qualcuno che sta sopra a loro nella gerarchia militare, se farlo passare o no. Passano i minuti e l'attesa suona sempre piu' kafkiana e stupida, fino a quando la risposta esce dalla bocca dell'agente. Il pacco non entra.
Con enorme sdegno la cortina di ferro ha seccato a colpi di telefonate una scatola di intimo uomo, donna e bambino. Cosa possiamo dire...a parte che, questa seconda ondata di sbarchi viene gestita dalla cooperativa che ha in mano la fase accoglienza, in modo superficiale e non pianificato. Non ci stupiremmo mai se continuassero a comprare scarpe taglia 40, come quelle che davano ai ragazzi Tunisini, peccato che tra i migranti che arrivano ora ci sono molte donne e bambini...insomma tirate voi le vostre conclusioni e bilanci, soprattutto quelli che non faranno mai su spese per i nuovi arrivati.

E per non dimenticare quello che e' successo il 29 Aprile scorso, eccovene un assaggio...

mercoledì 4 maggio 2011

Il Mega CARA di Mineo

Queste informazioni ci sono state inviate da Alfonso, parte della rete Catanese che segue il caso Mineo e i suoi sviluppi...buona lettura.

Per l’accoglienza, la Croce Rossa incasserà tre milioni di euro al mese. La proprietaria dell’area 360mila. Più di 20 milioni solo per il 2011. Senza contare gli stipendi. Tutto a carico del contribuente. Per Berlusconi e Maroni sarà il simbolo in Europa dell’accoglienza rifugiati made in Italy, ma è solo che la riproposizione sul fronte migrazione del modello Emergenza S.p.a., con ingenti flussi di denaro pubblico a favore dei soliti noti. Si tratta del residence di Mineo (Catania), piccolo centro agricolo nel cuore della Sicilia, che prima ospitava i militari USA della base aeronavale di Sigonella e dove adesso sono deportati i richiedenti asilo (in parte sradicati da precedenti percorsi d’inserimento ed in parte fuggiti dalla guerra in Libia) ed alcune centinaia di giovani tunisini arrivati in Italia prima del 5 aprile. Ibrido giuridico, a metà strada tra un CARA (centro accoglienza per richiedenti) e un CIE (struttura di detenzione per l’identificazione e l’espulsione degli “irregolari”), il residence della solidarietà di Mineo sarà l’inesauribile pozzo di san Patrizio per holding paramilitari, cooperative clientelar-sociali e prestigiosi signori del cemento.

Le associazioni siciliane antirazziste hanno già fatto le prime stime dell’affare. Agli enti che gestiscono i CARA sparsi sul territorio nazionale, il governo versa un contributo che fluttua dai 40 ai 52 euro al giorno per ogni richiedente asilo. Considerato il numero degli “ospiti” di Mineo (già sono 2.000), gli incassi per la mera gestione accoglienza oscilleranno mensilmente dai 2 milioni e 400 mila ai 3 milioni di euro. A beneficiarne sarà la Croce Rossa Italiana, individuata dal Commissario straordinario per l’emergenza immigrati, il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, senza l’indizione di un bando ad evidenza pubblica e la presentazione di un piano dei servizi da gestire. “Sino al 30 giugno 2011, la CRI impiegherà fondi propri destinati alla gestione delle situazioni di emergenza”, precisa il dott. Caruso. Per i restanti sei mesi coperti dal decreto anti-sbarchi ci penserà però il contribuente. Conti alla mano un gruzzolo che a fine anno potrebbe oscillare tra i 14 e i 18 milioni di euro. Pensare che l’accoglienza diluita nei Comuni di mezza Italia, grazie alle reti solidali di enti e associazioni (il cosiddetto sistema Sprar), pesa per circa 22 euro al giorno per rifugiato. Con il vantaggio che si tratta in buona parte di esperienze con forti ricadute sull’economia e l’occupazione locale, come ad esempio accade a Riace, paesino della provincia di Reggio Calabria, riconosciuto internazionalmente come modello d’integrazione cittadini-migranti; ricordiamo che i sindaci della Locride si erano offerti di dare accoglienza nei loro paesi a 500 migranti, ma non hanno ricevuto risposta dal ministro Maroni.

A Mineo, invece, si dovrà sperare sulle “pressioni” del presidente della Provincia di Catania e coordinatore regionale del Pdl, Giuseppe Castiglione, perché la Croce Rossa affidi la gestione di alcuni servizi del villaggio alla miriade di cooperative locali, in buona parte riconducibili al potente consorzio Sol.Co. di Catania interessato da tempo a mettere radici nell’ex residence USA. In fondo si tratterebbe di versare una piccola tassa, ottenendo in cambio il consenso all’operazione dei politici e degli amministratori del luogo. Una fabbrica di soldi e di voti, dunque, il moderno ghetto per rifugiati e deportati. Oramai i sindaci del calatino hanno sospeso l’opposizione al centro di Mineo, accontentandosi di qualche briciola e del vergognoso “patto territoriale sulla sicurezza” con inutili sistemi di video sorveglianza

Il vero affare, quello meno trasparente, è tuttavia quello relativo ai canoni che saranno pagati dal governo per l’utilizzo delle 404 villette presenti nell’infrastruttura. Invece di dirottare i migranti verso le numerose strutture pubbliche dismesse (come ad esempio la ex base missilistica di Comiso, già utilizzata per l’emergenza Kosovo nel 1999), il duo Berlusconi-Maroni ha imposto che il mega-CARA “d’eccellenza” trovasse posto in quello che strumentalmente è stato definito “ex villaggio NATO” ma che in verità è di proprietà della Pizzarotti S.p.A. di Parma, una delle principali società di costruzioni italiane, contractor di fiducia delle forze armate USA (lavori nelle basi di Aviano, Camp Darby, Vicenza e Sigonella). I manager dell’azienda chiedevano allo Stato un contratto di locazione per una durata non inferiore ai 5 anni, ma il Prefetto, Commissario Giuseppe Caruso, ha preferito emettere un’ordinanza di requisizione della struttura sino al 31 dicembre. Contestualmente è stata affidata all’Agenzia Territoriale del demanio di Catania la valutazione dell’indennizzo per la Pizzarotti, che per legge non potrà essere inferiore ai valori di mercato. Quanto? È presto fatto. La Marina USA pagava alla società un canone annuo di 8 milioni e mezzo di dollari, più le spese per la gestione dei servizi all’interno del villaggio. Anche a limitarsi all’accattivante offerta fatta direttamente alle famiglie dei militari dopo la rescissione del contratto con il Dipartimento della difesa (900 euro al mese a villetta), alla Pizzarotti non andrebbero meno di 363.000 euro al mese, moltiplicato per i 10 mesi coperti dal decreto di emergenza. Più il canone per l’utilizzo degli altri immobili (uffici, mense, strutture commerciali, palestre, campi da tennis e football, asilo nido, sala per le funzioni religiose e 12 ettari di spazi verdi). Solo per il 2011 il Grand Hotel di Mineo “Deportati & C.” costerà così non meno di una ventina di milioni di euro, senza includere gli stipendi e le indennità missione di oltre un centinaio tra poliziotti, carabinieri e militari dell’Esercito. Un colossale sperpero di risorse in nome della guerra santa alle migrazioni.

Nelle scorse settimane abbiamo organizzato numerose iniziative di fronte al villaggio degli aranci per socializzare con i migranti e monitorare attraverso avvocati e medici il rispetto dei loro diritti, purtroppo una richiesta d’ingresso consegnata in Prefettura il 23 marzo scorso ha ricevuto un esplicito diniego. Oramai la conoscenza della condizione di vita dei migranti è top secret alle associazioni solidali ed alla stampa. Cosa c’è da nascondere? La reale quantità degli “ospiti”? La pessima qualità del cibo? L’efficienza dell’assistenza sanitaria?

La giornata del 25 aprile sarà un’altra occasione per consolidare i nostri legami umani e politici con i migranti

Rete Antirazzista Catanese, Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella