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Appello a tutti...

Quest'anno il Lampedusa in Festival è arrivato alla sua terza edizione. Con molto entusiasmo stiamo portando avanti questa iniziativa che riteniamo sia importante per Lampedusa, i lampedusani e tutti coloro che amano l'isola. Purtroppo, anche quest'anno, dobbiamo fare i conti con le nostre tante idee e i nostri pochi fondi per realizzarle.

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lunedì 4 maggio 2009

Così i libici fermano i gommoni

Da La Repubblica
di Franco Viviano
RAS AJDIR (Libia) - Partono anche di giorno rischiando di essere arrestati, imprigionati e trattati come schiavi. Ma ci provano lo stesso e pagano anche di più perché i trafficanti libici di esseri umani stanno seminando il panico nelle sperdute campagne vicino al mare dove, dentro i capannoni, sono ammassati migliaia di nigeriani, sudanesi, eritrei, etiopi da mesi in attesa di partire per Lampedusa. "Adesso o mai più, tra poco Italia e Libia faranno dei pattugliamenti qui e sarà più difficile partire...", avvertono i trafficanti e molti disperati ci credono sul serio, pagano e partono, anche davanti ai bagnanti che prendono il sole sulle spiagge di Zaltan e Al Zuwarah, i primi due paesi libici che si incontrano una volta lasciato il confine tunisino: le spiagge da dove partono molti degli extracomunitari che arrivano a Lampedusa o a Malta. La nostra guida è un clandestino che ormai da anni vive in Libia e sa districarsi bene tra poliziotti tunisini e militari libici che lo conoscono bene perché fa il contrabbandiere e sa come oliare gli ingranaggi. Lui fa avanti e indietro tra Zaltan e Al Zuwarah. "Io non traffico con i clandestini, faccio contrabbando e basta, e quando posso li aiuto", dice, anche se il suo "aiuto" consiste nel portare, per conto dei trafficanti libici, acqua e generi alimentari nelle fattorie piene di extracomunitari. "Sono migliaia e migliaia, c'è un ricambio continuo, tanti partono, tanti arrivano". La guida ha girato un video col telefonino. "Guarda, guarda, ti possono interessare", dice prima di cliccare sul cellulare per mostrare il filmato. Non è un trucco, è tutto vero. "Le ho girate pochi giorni fa - racconta - ecco, adesso partono anche di giorno". Sono immagini uniche: in Libia è difficile muoversi, i militari di Gheddafi non scherzano, e alcuni di loro sono proprio gli organizzatori degli arrivi e delle partenze degli extracomunitari. Li sfruttano, li fanno lavorare come schiavi per mesi, anche per anni, e poi il misero stipendio che quei disperati guadagnano ritorna nelle loro tasche per pagare il viaggio in mare dalla Libia a Lampedusa. E come in tutte le organizzazioni ci sono clan concorrenti, gruppi di trafficanti che si accaparrano con la complicità di militari e poliziotti libici la "carne umana" da buttare in mare.
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Il video, anche se girato con il telefonino è chiarissimo. È stato registrato poche settimane fa, tra la fine di marzo e l'inizio d'aprile. La spiaggia è sempre quella, Al Zuwarah, poco dopo le dieci del mattino. Da dietro le dune di sabbia spunta un gommone nero di sei, sette metri, viene buttato in mare davanti a decine e decine di bagnanti libici che prendono il sole. Improvvisamente arrivano una settantina di uomini ("neri", così li chiamano i libici), corrono sulla spiaggia e poi in acqua per salire sul gommone. Si affollano, si stringono, ci sono donne, bambini ed uomini, con loro portano soltanto qualche piccola cosa, una Bibbia o un Corano e, chi può, gli ultimi spiccioli che gli sono rimasti. Lo scafista è con loro, li aiuta a salire e a spingere il gommone in mare, dove a bordo ci sono anche una decina di taniche di plastica piene di benzina per affrontare il lungo viaggio. Benzina che spesso fuoriesce dai bidoni e, mescolandosi con l'acqua di mare, provoca ustioni anche gravissime. Si parte verso Lampedusa, l'isola della speranza, "la porta della vita" la chiamano in molti. Alcune ore dopo la partenza del primo gommone eccone un altro che spunta all'improvviso come il primo sulla spiaggia dove donne e bambini libici giocano con la palla o fanno castelli di sabbia. Nessuno si scompone, da quella spiaggia ne hanno visti partire a centinaia e qualcuno, mosso da pietà, li saluta pure mentre prendono il largo. Ma questo secondo viaggio ha un imprevisto. All'improvviso spunta una jeep con a bordo tre o quattro militari libici. Due di loro scendono armati di mitra e si dirigono verso il punto dove il secondo gommone sta per partire. Una cinquantina sono già a bordo, altri stanno per salire. I militari scendono in mare, l'acqua è bassa e gli arriva alle ginocchia, uno spara un colpo sul gommone per farlo afflosciare, l'altro intima a tutti di scendere e minaccia di sparare sotto gli occhi dei bagnanti. Sul gommone si scatena il caos, i clandestini si buttano nuovamente in mare e tentano la fuga guadagnando la spiaggia da dove erano venuti. I militari sparano ancora in aria per fermarli: molti riescono a scappare, altri no, come il presunto "pilota" del gommone che viene bloccato dai militari mentre il trafficante libico va via tranquillamente, pronto ad organizzare un'altra partenza di disperati. Quelli che erano partiti qualche ora prima ormai sono ad alcune migliaia di distanza dalle coste libiche, il tempo è buono e il mare forza 2-3. Si dirigono verso i fari delle piattaforme petrolifere e seguono una rotta che è decisa dalle onde del mare e dal vento. Qualcuno più anziano, di giorno sta con gli occhi puntati al cielo e dice al pilota di seguire la stessa strada degli uccelli che migrano dalle coste africane per raggiungere anche loro Lampedusa: sono stormi di gruccioni, balie nere. Ma gli uccelli vanno veloci e tranquilli e spariscono presto dal cielo. La speranza però non svanisce ed un giovane somalo avvista una motovedetta della marina militare italiana che si avvicina. Ce l'hanno fatta. Non come tanti altri morti durante il viaggio e scomparsi nel cimitero del mare.
(4 maggio 2009)

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